Archivio per la categoria ‘Cineforum’

Film trash quasi cult: Innamorato Pazzo

Pubblicato: 19 febbraio 2011 in Cineforum
CINEFORUM CASA MARVELLI
domenica 20 febbraio · 21.00 – 22.30
Luogo
Casa Marvelli 

f.lli Cervi, 12
Bellaria, Italy

Ora

domenica 6 febbraio · 21.00 – 22.30


Luogo

Casa Marvelli

f.lli Cervi, 12

Bellaria, Italy

 

“Nel nome del padre ha una duplice chiave di lettura, sia come documento
sociale che come dramma personale. Per Sheridan esiste una connessione
naturale tra la narrazione politica della storia e l’allegoria del
conflitto tra padre e figlio presente in essa. `Le società e le religioni sono
strutturate intorno a figure paterne. l’Inghilterra è diventata una sorta di
figura paterna con la quale gli Irlandesi cercano di confrontarsi da lungo
tempo’. Sheridan ritiene che i secoli di dominio inglese sull’Irlanda abbiano
indebolito l’autorità paterna irlandese. I figli di padri deboli, o facili ai compromessi,
sono spesso costretti a scappare, se ne hanno la possibilità, o ad
affrontare la realtà con coraggio, trasformandosi proprio in quello che
disprezzano. `Volevo realizzare la storia di un buon padre perché nella letteratura
irlandese non esistono figure paterne positive’, spiega Sheridan.
Egli ritiene che gli scrittori irlandesi moderni, come Beckett e Joyce, si siano
rivoltati contro l’autorità rifiutando gli strumenti narrativi tradizionali. `Joyce
ha dovuto inventare un padre ebreo, Leopold Bloom, perché non è riuscito
a trovare tra la sua gente quelle qualità che ammirava e rispettava’,
commenta il regista. `Ritengo che sia giunto il momento di superare questo
stadio. Ho voluto ritrarre la figura di una persona in apparenza debole,
come Giuseppe, e mostrare la sua bontà interiore. Alla fine il figlio maltrattato
arriva a paragonare i suoi due padri. Ho voluto interrompere il ciclo
della vittimizzazione e fare in modo che il figlio fosse in grado di ammettere
che suo padre era un buon uomo’. Infine Sheridan vuole, con il suo titolo,
invocare un padre non solo terreno ma anche spirituale, una preghiera
affinché venga interrotta la spirale di violenza che avvolge l’Irlanda.` È
un’invocazione che viene dal profondo del cuore, Nel nome del padre,
come all’inizio della preghiera. Se non ti è permesso di esprimere i tuoi sentimenti,
una bomba lo farà per te’.


Ora domenica 23 gennaio · 21.00 – 22.30

Luogo Casa Marvelli 

f.lli Cervi, 12

Bellaria, Italy

Trama

L’atavico confronto-scontro tra il mondo degli adulti e quello dei giovani viene narrato

attraverso lo vicende e lo sguardo disincantato della quattordicenne Nina. Una mattina, il

professore assegna alla classe un tema dal titolo: “Genitori e Figli: istruzioni per l’uso”. Per

Nina sarà occasione di poter parlare per la prima volta a cuore aperto del suo rapporto con i

genitori, del fratellino di otto anni, di una misteriosa nonna che ricompare all’improvviso dopo

vent’anni, ma, soprattutto raccontare di sé…

Critica

“Più che l’ormai snaturato e declassato interesse culturale e nazionale, il nuovo film di

Giovanni Veronesi dovrebbe vantarsi di un alto interesse personale ed emozionale. La scena

suggestiva è quando tutta la travagliata famiglia di Gianni e Luisa coi figli si tuffa a capofitto

nelle acque in cui sono state appena ‘soffiate’ le ceneri della nonna. Perché, al di là delle

situazioni buffe, ‘Genitori & figli – Agitare bene prima dell’uso’ (lo dimostra la dedica finale) è

per il regista una specie di cognizione del dolore, anche quello di organizzare la

rappresentazione di un’incomprensione. Seguendo le tracce di un tema che un professore dà in

classe sulla famiglia, la storia scritta con Chiti ed Agnello analizza due tipi di incomprensioni,

tra teenager ma anche tra adulti e consenzienti. (…) Non è che venga molta voglia di ridere,

anche se l’autore aiuta con momenti ad hoc. Tutto sommato il match è pari, finalmente i

teenager non sono visti come idioti da spot ma coi problemi di cui i genitori passano le

consegne: è il gioco delle parti.” (Maurizio Porro, Corriere della Sera, 26 febbraio 2010)

“Complice un tema scolastico, in ‘Genitori & Figli – Agitare bene prima dell’uso’ Giovanni

Veronesi affronta croci e delizie della famiglia, tra genitori separati e figli in cerca di se stessi,

nonne ribelli e primi amori. Ottimo il cast di attori e lodevole il tentativo di riflettere su un

argomento magmatico spesso frainteso sul grande schermo, ma tra scivoloni nel terreno

Moccia e qualche concessione di troppo a dinamiche da fiction televisiva, il film non convince

del tutto.” (Alessandra De Luca, Avvenire, 26 febbraio 2010)

“Madri padri figli nonni, la voce fuori campo di una 15enne che rivela angosce e modalità della

separazione dei genitori, del fratellino razzista e della sua prima volta. C’è la casa televisiva, la

pericolosa contiguità con Moccia e Muccino. Ma, nel tentativo di sottrarla al conformismo e

all’imitazione, Veronesi e gli sceneggiatori Chiti e Agnello tentano un’esposizione più diretta e

vera, lasciando irrisolte le ferite e le relazioni che nella vita restano irrisolte. Lo devono anche

al cast. Littizzetto e Orlando, Placido e Buy, nel bicchiere mezzo pieno, tracciano dei

comportamenti, investono nelle contraddizioni, anche se non formano veri personaggi (ma non

dipende dalla recitazione). Toccante il bagno in mare tra le ceneri della nonna. Un po’ banale

l’ambientazione scolastica.” (Silvio Danese, Nazione, Carlino, Giorno, 26 febbraio 2010)

“Lo straordinario successo dei due ‘Manuale d’amore’ significa anche che Giovanni Veronesi ha

individuato un segmento vincente della commedia italiana, una formula che punta alla coralità,

all’interazione tra varie storie senza ricorrere agli episodi separati. La famiglia, le nevrosi, i

conflitti generazionali, le incomprensioni tra adolescenti e adulti, ritornano in ‘Genitori & Figli:

agitare bene prima dell’uso’. Il regista e sceneggiatore toscano ha potuto disporre di una bella

squadra di attori delle più diverse generazioni per schizzare incisive tipologie che esemplificano

il difficile rapporto tra genitori e figli di oggi attraverso lo sguardo disincantato della

quattordicenne Nina. (…) La commedia a retrogusto amaro ruota intorno all’incomunicabilità e

alla difficoltà ad esprimersi di generazioni che s’incontrano-scontrano solo con l’esuberanza

fisica e l’irruenza linguistica, ma diventa anche un calderone di troppi temi d’attualità.” (Alberto

Castellano, Il Mattino, 26 febbraio 2010)

Domenica 19 dicembre alle 21 presso la Casa Marvelli

Regia: Giovanni Veronesi

Attori:

Diego Abatantuono (Giuseppe)

Ugo Conti (Zebulon)

Penélope Cruz (Maria)

Mariangela D’Abbraccio (Tamar)

Renato De Carmine (Cleofa)

Eliana Giua (Maria A 8 Anni)

Alessandro Haber (Socrates)

Antonino Iuorio (Manasse)

Gianni Musy Glori (Avrahm)

Massimo Pittarelli (Gioele)

Laura Roncaccia (Giuditta)

Valeria Sabel (Sara)

Stefania Sandrelli (Dorotea)

Durata: 110 minuti

TRAMA

Giuseppe è un uomo diverso dagli altri, ha in mente di visitare le città del mondo, Atene, Sparta, Damasco, Roma… vuole invecchiare camminando, vuole amare le donne. Ma il suo destino invece gli fa incontrare Maria, una ragazza molto più giovane, con un carattere solido, caparbio, sicuro. Giuseppe non riesce a resistere al fascino infantile della ragazza; finisce per sposarla. I due si amano profondamente ma il destino li vuole separare a tutti i costi. Maria rimane incinta e racconta una verità impossibile. Giuseppe le rimane accanto non per pietà, non per protezione, ma solo perché l’amore certe volte assegna dei compiti ingrati e ordina al tuo cuore un martirio obbligato, senza via di scampo. Ma Giuseppe non vuole credere, non vuol sentire, cerca solo di ristabilire un’ordine di vita che ormai gli è sfuggito di mano. S’infuria, si ubriaca, affronta Maria, cerca di farla nuovamente innamorare, di corteggiarla come un tempo, ma quel muro invalicabile da lei costruito, non gli permette più alcun tentativo.

Tratto da un romanzo di Festa Campanile. Diretto da Veronesi, collaboratore di Francesco Nuti che gli aveva prodotto Maramao, film d’esordio. Sulla falsariga della storia di Giuseppe e Maria, personaggi biblici. Si ipotizzano i tormenti esistenziali e psicologici di colui che non è padre di suo figlio. Qui si immagina che sia donnaiolo e assiduo cliente di prostitute. Ma di fronte alla volontà del Signore accetta il bimbo non suo. Buona la recitazione, diligente ma senza voli la regia. La musica è di Nicola Piovani. Buoni incassi.

Non tutto funziona a dovere, va da sé, ma la dominante favolistica non viene mai meno e la tentazione della parodia risulta accuratamente respinta: non era affatto facile trovare una coloritura brillante, un po’ magica un po’ allucinata, per vicende cinematograficamente sbiadite. Solo giganti come Martin Scorsese hanno, in tempi recenti, saputo invertire il destino hollywoodiano degli show evangelici, accendendo sullo schermo, insieme alla suspense religiosa, un moderno talento visionario. Veronesi non ha statura omologa ma, nei suoi limiti, il film gli riesce facile e scorrevole, il ragionamento non prevarica lo stile e la poesia fa capolino senza esibirsi in mosse ad effetto. Particolarmente calibrato è l’ultimo sviluppo narrativo, che mette ai margini proprio il protagonista… ‘Per amore solo per amore’ disposto ad autoescludersi dal rapporto ineffabile tra la Madre ed il Bambino. Sacro e profano si confondono nel suo progressivo esercizio d’innamoratissima pazienza.

Per amore solo per amore è indubbiamente un prodotto singolare, forse inutile, a tratti inerte. Troviamo superfluo il confronto con il libro di Festa Campanile rispetto alla cui natura il film, comunque, accentua il cinismo e smorza la spiritualità. Veronesi (sceneggiatore di quasi tutti i film di Francesco Nuti e debuttante alla regia con Marameo, qualche anno fa) si lascia tentare dalle lusinghe del simbolismo (un anacronistico cavallo bianco – la libertà? – in stile bagnoschiuma, una torre nel deserto – il peccato? – Troppo fallica) ma fa bene a fidarsi dell’espressività assente e dell’autoironia distratta di Diego Abatantuono, non ancora completamente sgusciato fuori da Puerto Escondido e, forse, tatticamente, meno esplicito di quanto lui amerebbe. Graziosa e invitante Penelope Cruz, più consono ai Monthy Pyton de La vita di Brian, Alessandro Haber, bellissima ma un pò cresciutella (per la parte) Stefania Sandrelli.

Curiosa opera seconda, questa di Veronesi. Il regista toscano aveva esordito sei anni fa con l’insolito Maramao: una storia di bambini in cui gli adulti erano sempre inquadrati solo dalla vita in giù, come nelle strisce di Linus. E qui Veronesi sembra citarlo, dedicando la prima inquadratura ai piedi di Socrates che avanzano nel deserto, per poi far nascere l’amicizia fra il greco fuggiasco e l’ispido falegname palestinese. In fondo i duetti fra Haber (che, interpreta Socrates) e Abatantuono sono la cosa migliore del film, una bizzarra solidarietà virile che sopravvive alle violenze e ai traumi della vita. Mentre l’approfondimento psicologico di personaggi come San Giuseppe e la Madonna, che archetipi sono e archetipi dovrebbero rimanere, zoppica non poco (sarebbe come raccontare la vita di Babbo Natale, o inventarsi la giovinezza della Befana). Abatantuono regge anche i dialoghi più “attuali” ed improbabili, ma lo stesso non può dirsi dei comprimari (non si può, davvero non si può sentire il fratello di Giuseppe che lo accusa di aver difeso un’adultera chiedendogli: “Te la sei fatta anche tu?”). Alla fine, complice anche la zuccherosa, onnipresente musica di Piovani, si ha la sensazione di un film irrisolto: indeciso se diventare una commedia moderna in abiti antichi, una versione quotidiana del Vangelo di Pasolini (ma siamo lontani anni luce) o un apologo fuori del tempo sui temi della famiglia, sacra e non.

Pur se il passaggio di Stefania Sandrelli nell’insulso personaggio della cortigiana non lascia traccia, si può dire che le presenze degli interpreti per scelta oculata e ottima evidenziazione delle qualità individuali formano l’attrattiva del film; e ne conferma l’assenza di volgarità, il civile livello e l’aspirazione a due soldi di poesia. Meno convincono (e qui ci si potrebbe riallacciare al discorso dei piedi…) il tono generale della regia, l’abuso incontinente delle musiche di Nicola Piovani, l’ambientazione convenzionale nonostante la trasferta tunisina: insomma i modi e i tempi del racconto per immagini.

Come nel romanzo (1983), premio Campiello 1984, di Pasquale Festa Campanile dal quale è stato tratto, G. Veronesi (1963) e il suo sceneggiatore Ugo Chiti hanno raccontato Giuseppe della stirpe di David, sposo di Maria Vergine e padre delegato di Gesù Cristo, appena nominato nei Vangeli, come un uomo comune, immerso nel quotidiano: prima scapolo irriducibile, curioso della vita e del mondo, amante delle donne e da loro amato, ingegnoso artigiano del legno, di cui Maria giovinetta è innamorata sin da bambina, e poi sposo appassionato al punto di accettarne la misteriosa gravidanza, di perdere il senno e di morirne: “La storia che venne dopo cancellò la sua”. La direzione degli attori è all’altezza della rischiosa impresa e ne fa una scommessa vinta anche se la maggioranza dei critici lo sbrigò come un disinvolto e illustrativo tentativo di commedia all’italiana e i cattolici ufficiali lo attaccarono per eccesso di umanizzazione ai limiti con la profanazione. Oltre a Penelope  Cruz (doppiata da Stella Musy), Maria poco ortodossa che tocca note di ammirevole intensità, Abatantuono interpreta Giuseppe con misura e ritegno che non smorzano la sua energia, spalleggiato da un ottimo Alessandro Haber nella parte del greco Socrates che l’ha scelto come padrone, tenuto a briglia corta dal regista e dal mutismo che, dopo il primo quarto d’ora, il ruolo gli impone. Nel romanzo è il narratore; qui diventa il coro silenzioso di quella che, in fondo, è la storia di un amore coniugale.

PREMI

1994 – DAVID DI DONATELLO PER MIGLIORE SCENEGGIATURA (UGO CHITI E GIOVANNI VERONESI), MIGLIORE PRODUTTORE (AURELIO DE LAURENTIIS), MIGLIORE ATTORE NON PROTAGONISTA (ALESSANDRO HABER).

Cineforum “Si può fare”

Pubblicato: 30 novembre 2010 in Cineforum

Genere: Commedia
Regia: Giulio Manfredonia
Interpreti: Claudio Bisio (Nello), Anita Caprioli (Sara), Andrea Bosca (Gigio), Giovanni Calcagno (Luca), Giorgio Colangeli (dott. Del Vecchio

Distribuzione: Warner Bros Pictures Italia

Anno di uscita: 2008
Dur.: 111′

Milano, primi anni ’80. In una cooperativa per malati mentali, formatasi come altre in seguito alla chiusura dei manicomi prevista dalla legge Basaglia, arriva il sindacalista Nello. Questi, a digiuno di psichiatria e contro il parere del medico, comincia ad applicare verso i degenti una sorta di buon senso fatto di ascolto, di messa in comune dei problemi, di stimolo alla capacità di risolverli. Responsabilizzati, i ‘malati’ scoprono l’opportunità di affidare al lavoro la loro occasione di affacciarsi alla vita ‘esterna’ e al contatto con gli altri. Da qui i momenti di gioia e di dolore si succedono imprevedibili, innestandosi anche nella difficile relazione di Nello con Sara. L’inatteso suicidio di Gigio provoca dolore e sgomento. Ma é forse l’ultimo, tragico prezzo da pagare per riaffermare la piena dignità di quelle persone.

“L’HANDICAPPATO MENTALE

MI RIVELA LA MIA POVERTÀ”

Il fondatore delle comunità dell’Arca chiama a “vivere la differenza”

“Il povero, l’handicappato mentale mi rivela la mia povertà e quando scopro la mia povertà ho più bisogno di Dio”. Lo ha affermato Jean Vanier, fondatore delle comunità dell’Arca, che lo scorso fine settimana ha offerto nel seminario della località di Vic (Barcellona) un ritiro su come vivere la differenza in un mondo pluralista.

Circa le comunità che ha fondato nel 1964 e che attualmente offrono a persone con problemi psichici più di cento case con laboratori, sparse in trenta Paesi di tutto il mondo, in cui condividere la vita e il lavoro, Vanier ha spiegato che “all’inizio volevo mostrare ai poveri quanto erano importanti vivendo con loro”.

“Ho scoperto allora che quello era un cammino del Vangelo, perché il povero ci fa vivere in verità – ha spiegato –: siamo tutti poveri e condannati a morte; siamo tutti fragili, tutti vogliamo dimostrare di essere migliori degli altri; in questo modo fuggiamo continuamente da ciò che è più importante in noi e non sappiamo davvero chi siamo”.

“Le persone con handicap mentali mi mostrano il mio handicap – ha proseguito –. La loro violenza rivela la mia violenza, iniziamo a scoprire la verità del nostro io e allora cominciamo a scoprire anche la verità di Dio”.

“La persona handicappata che accoglie il proprio handicap mi mostra la difficoltà che ho io ad accettare le mie debolezze, in maniera simile alle persone che stanno per morire e che, quando accolgono la propria morte, fanno scoprire a quanti li curano la loro paura di morire”, ha continuato.

“Per questo motivo l’Arca è un cammino verso Dio – ha aggiunto –. Un cammino di poveri, perché per accogliere Gesù bisogna essere poveri; Egli stesso, che è la bellezza del Verbo di Dio, è un grande povero, ma un grande povero che accoglie la forza di Dio; non c’è Cristianesimo se non scopriamo la nostra povertà”.

La solidarietà ed il senso di colpa

“La raccolta di una così grande quantità di denaro per le vittime dello tsunami ci mostra molte cose sulla solidarietà e sulla capacità di compassione del cuore umano, ma anche sul senso di colpa”, ha segnalato Vanier.

“Dato che viviamo molto bene e abbiamo tante cose, non possiamo vedere in televisione persone che hanno perso tutto – ha spiegato –. Nell’essere umano esiste un desiderio di aiutare, che si esplicita anche nei confronti delle persone handicappate, ma questo si scontra contemporaneamente con il desiderio di volersi sbarazzare di quella persona diversa”.

“E’ innegabile che le persone diverse ci danno fastidio – ha continuato, riferendosi più concretamente agli handicappati –, e molti le affrontano internandole in istituzioni o uccidendole prima della nascita”.

Per spezzare i pregiudizi nei confronti degli handicappati, il fondatore delle comunità dell’Arca propone “di incontrarli veramente” e scoprire ciò che ci rivelano su di noi e sulla presenza di Dio in loro.

Di fronte alla malattia o alla morte, Vanier consiglia di non trascorrere troppo tempo a interrogarsi su di loro o in dispute teologiche, ma di concentrarsi di più sul fatto di accogliere e di aiutare: “Ciò che conta non è chiedersi il motivo della sofferenza, ma mettersi in cammino per alleviarla – ha affermato –. Ciò che conta non è chiedersi perché la morte, ma mettersi in cammino per accompagnare la gente a morire”.

domenica 5 dicembre · 21.00 – 23.00

Luogo Casa Marvelli

f.lli Cervi, 12
Bellaria, Italy


domenica 21 novembre · 21.00 – 23.00

Casa Marvelli, via f.lli Cervi 12 Bellaria Rn

Titolo originale O ano em que meus pais saíram de férias

Regia Cao Hamburger

Origine Brasile, 2006

Durata 104’

Distribuzione Lucky Red

Film di formazione brasiliano con toni da commedia
Locandina italiana L'anno in cui i miei genitori andarono in vacanza
Presentato in concorso alla cinquasettantesima edizione della Berlinale, L’anno in cui i miei genitori andarono in vacanza rappresenta bene l’evoluzione cinematografica che un paese come il Brasile ha realizzato negli ultimi dieci anni. Dal 1995 sembra viva una stagione felice, la cosiddetta “retomada”. Il suo “processo di risensibilizzazione” consiste nel riscoprire le identità e nel far conoscere e rendere protagoniste le problematiche della vita urbana, le zone di frontiera e le aree di frattura sociale.
Lungi dal voler essere un semplice film di formazione in cui si mostra il passaggio del protagonista dall’infanzia alla sfera adulta, la vicenda tratta un tema impegnativo e importante come quello dell’esilio. Ognuno dei protagonisti si scontra con questa realtà sia letteralmente che metaforicamente. I genitori del protagonista sono costretti a lasciare il proprio figlio in quanto attivisti politici. Mauro non riesce a gustare fino in fondo le bellezze dell’infanzia in quanto perennemente in bilico tra il mondo reale e quello sognato. Il Brasile, stesso, risulta essere un personaggio in esilio. La passione e il calore che il suo popolo dimostra attraverso il tifo per i Mondiali del 1970 non ha nulla da spartire con il regime interno schiacciato dal potere di pochi.
Con un tono tipico della commedia, il piccolo protagonista sembra ricoprire il ruolo di regista. Grazie al suo sguardo curioso e alla vivace voce (è anche il narratore della storia) diveniamo quasi complici della sua capacità di adattamento a un mondo per lui ignoto e ostile. Fondamentali nella pellicola i colori del Bom Retiro, il frenetico quartiere in cui Mauro vive e che rappresenta, a suo modo, un vero e proprio universo in scala ridotta. Portoghese, yiddish, tedesco e italiano sono le lingue parlate. La ricca offerta di stimoli culturali viene assorbita da Mauro e dai suoi giovanissimi amici con un candore e una leggerezza che controbilancia bene le tragedie di quegli anni.

Cineforum “Gli sgangheroni”

Pubblicato: 9 novembre 2010 in Cineforum
domenica 14 novembre · 21.00 – 23.00

Luogo Casa Marvelli

BELLARIA RN

 

Via F.lli Cervi

Per adempiere alle ultime volontà del suo defunto marito la ricca ed anziana ereditiera Lillian Oglethorpe (Nancy Marchand) decide di istituire una compagnia di danza classica e a tale scopo si affida all’aiuto del bizzarro e logorroico avvocato Roland T. Flakfizer (John Turturro). Costui, aiutato dal silente giardiniere tuttofare Jacques (Bob Nelson) e dall’iroso tassista Rocco (Mel Smith)cerca in tutti i modi di scritturare i giovani Alan (Spike Alexander) e Lisa (Juliana Donald)ma viene osteggiato dal perfido consigliere di Lillian Edmond Lazlo (John Savident)che ha dalla sua l’appoggio del famoso e arrogante ballerino Roberto Volare (George De La Pena). La “sfida finale” si consumerà durante la “prima” del balletto a teatro, che verrà sconvolta con furia iconoclasta dal terzetto di sabotatori.

Titolo originale: Brain Donors
Regia: Dennis Dugan
Cast: John Turturro, Nancy Marchand, Bob Nelson, Mel Smith
Genere: Comico
Anno di produzione: 1992
Durata: 80 min

Il risultato e un seguito di risate difficili da frenare, specie quando, pepatissime, si colgono qua e là della frecciate da levar la pelle o quando, perfino tra le pieghe di un piccolo intreccio amoroso, volutamente tradizionale, si intuiscono graffi e sberleffi che non risparmiano nessuno. Bravo Turturro comico. Farà invidia aWoody Allen. (Gian Luigi Rondi, Il Tempo)