+ Dal Vangelo secondo Marco Mc 13,33-37
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».
Il padrone è via, e i servi si sentono padroni. Non è così quel che capita oggi? Mai con tanta sfacciataggine e supponenza oggi ciascuno ripete: la vita è mia, la storia è mia e la gestisco io! Ma la festa finisce. Il padrone ritorna. La storia ha termine. La morte, le grandi sfide della vita, le scelte dicono “basta!” all’uso della nostra libertà, e un rendiconto è da fare. “State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso, quando il padrone di casa tornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all’improvviso, trovandovi addormentati”. Chi sa l’ora del proprio doversi presentare a Dio? Ed è inutile difenderci, emanciparci, col negare la realtà. Neanche il più accanito degli atei riesce a giustificare la propria scelta; e tutti, davanti alla morte, intuiamo il Mistero e ne sentiamo la presenza.
L’atteggiamento giusto da tenere è la trepidazione che non presume di sé, ma chiede l’aiuto a Dio. “E’ Dio infatti che suscita in noi il volere e l’operare – scrive san Paolo – secondo i suoi benevoli disegni” (Fil 2,13). Parlando ai cristiani di Corinto, stima i doni di Dio di cui sono stati arricchiti, ma li esorta a chiedere a Dio il dono della fedeltà e della perseveranza: “Egli vi confermerà fino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore: fedele è Dio!” (II lett.). Sant’Agostino continuamente diceva che la grazia più grande da chiedere nella preghiera è quella della perseveranza finale. Ecco allora: fare, ma col Signore, col suo aiuto, entro l’alveo della sua grande opera di rinnovamento che è il Regno di Dio.
Alla fine, vigilare è sperare. Il cristiano sa di operare entro una causa che è già vincente, in Cristo, primizia dei risorti. La speranza è la molla del fare, contro ogni ostacolo e scoraggiamento. Noi cristiani, più di tutti, dobbiamo credere al mondo e operare per esso, perché lo sappiamo destinato all’eterno. L’Avvento è educazione alla speranza, cioè all’unica forza urgente da immettere in questo nostro mondo che ha visto cadere una dopo l’altra le varie speranze umane, e vive rassegnato ad ogni violenza, ingiustizia e sopraffazione sull’uomo.
Padre P