Archivio per aprile, 2012

+ Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 10,1-10

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

Un’ immagine dolce e piena di amore. Il pastore buono che conosce ognuna delle sue pecore, si occupa con immenso amore di tutte, anche di quelle più “ribelli”, cammina davanti a loro e loro si fidano di lui e lo seguono. Poi, però purtroppo a volte succede che le pecore perdano l’orientamento, al giorno d’oggi sono molte le persone o gli oggetti, che crediamo possano donarci la felicità. Basiamo la nostra felicità su fondamenta che prima o poi crolleranno, perchè l’unica base solida è Dio, la sua Parola. Nessuno potrà mai amarci e donarsi incondizionatamente come Lui. I modelli di vita che ci propongono oggi, dove tutto sembra facile, bello sono destinati a fallire miseramente. L’unico modello di vita che ci porterà alla gioia vera è quello che Gesù ci insegna, tutti gli altri sono solo “mercenari”. Questi mercenari ci offrono felicità a poco prezzo, ma che alla fine tutto quello che ci viene dato si rivela per quello che è e cioè qualcosa di vuoto, sterile e che spesso ci ha reso “schiavi”, perchè  “se non ho questo non sarò mai felice, se non sono ricco, con una bella macchina, circondato da “bella” gente, ecc… non sarò mai felice”. Gesù invece ci dona tutto e ci ama senza chiederci nulla in cambio, lasciandoci liberi di sbagliare, di pascolare lontano dal suo gregge, ma senza mai perderci di vista e sempre pronto a aprirci il cancello per entrare nell’unico vero gregge di cui ognuno di noi dovrebbe far parte. Grazie Gesù per l’amore che sento che hai per me, grazie per tutte le volte che mi hai chiamato con l’affetto di un Padre, grazie per la pazienza che dimostri di avere. Aiutami, e aiuta ognuno di noi, a seguire la tua voce ogni giorno.

★ Riflessione di Lella ★

+ Dal Vangelo secondo Giovanni 10,11-18

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.  Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio»

A nessuno piace essere chiamato “pecora” ma é altrettanto vero che tutti hanno dei modelli che seguono fedelmente. Nessuno di noi, infatti, può misconoscere che la nostra vita, sin dai suoi primissimi anni, è fondata sull’introiezione di modelli (a partire dai nostri genitori) che hanno determinato e determinano pensieri, emozioni, sensazioni e comportamenti. Tutti poi conosciamo molto bene il potere che su di noi esercita la moda, la pubblicità, il sentire comune e tutto quello che ci viene continuamente propinato dai mass-media. Se allora volessimo fare un bilancio serio e un almeno un po’ più approfondito della nostra vita, la conclusione è scontata e sta tutta in una domanda: io chi seguo? Il brano del vangelo di oggi, poi, ci fornisce un’indicazione preziosa ricordandoci che seguiamo solo chi ci piace e ci attira. Questa indicazione la traiamo dall’aggettivo che Gesù usa per parlare di lui definendosi pastore (alla lettera “bello”). Gesù è un pastore che attira, che è bello di quella bellezza che salverà il mondo, come ci ricordava il romanziere russo F. Dostoevskij. È la forza attrattiva di Gesù che ci spinge a farci “pecore” del suo gregge, ad ascoltare la sua voce, avendo sperimentato che la sua bellezza consiste nell’esporre la sua vita ad ogni pericolo, nel disporre della sua vita a favore delle pecore e, infine, nel deporre la sua vita ovvero nel dare la sua vita per le pecore. Il pastore Gesù attira, piace perché mette a rischio la sua vita e non si tira indietro per salvare se stesso, non è un mercenario. Questo tempo pasquale ci è stato donato per fare esperienza dell’amore di Colui che non ha mai smesso di mettere la sua vita a nostra disposizione, conquistandosi sul campo, il legno della croce, la nostra fiducia ed esercitando, su quanti si lasciano interessare, una forza attrattiva che non conosce pari. Domandiamoci come mai tante volte il Cristo che noi presentiamo non attira e non genera fascino.

+ Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 6,52-59

In quel tempo, i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.

Siamo tutti degli affamati. Tutti desideriamo soddisfare, riempire, colmare, godere di qualcosa.
In questa III settimana di Pasqua, la Chiesa sceglie di mettere al centro il PANE.
Mangiare, bisogno primario dell’uomo.
C’è un cibo che riempie ma non sazia, che sfama ma non impedisce di morire, e poi c’è Gesù.
Gesù che è pane e che è vino a ricordarci che il Dio rarefatto che abita le nubi e spesso e volentieri la nostra fede, non ha nulla a che vedere con Lui.
Come può costui darci la sua carne da mangiare?
A legger la risposta, pare che Gesù sia più interessato a farci capire il “perché” prima del “come”.
Se nulla è impossibile a Dio, sul “come” non ha senso domandare: più importante è il “perché”.
Se sei sceso dal cielo per farti pane, Signore, dacci sempre di questo pane, perché vogliamo VIVERE.

★ Riflessione di Vale Paso ★

+ Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 6,44-51

In quel tempo, disse Gesù alla folla: «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Credere. Così semplice da dire, così tremendamente difficile da fare concretamente. Gesù la fa facile: chi crede ha la vita eterna, io sono il pane della vita, chi ne mangia non morirà. E’ un piano perfetto, e allora perché in così tanti della fede non vogliono sentirne parlare? Perché c’è bisogno di continue Evangelizzazioni per farlo capire alla gente, se sta scritto lì in un semplice libro da migliaia di anni, sotto gli occhi di tutti?
Credo che il problema dell’uomo di oggi sia quello di volere tutto e subito: come tutte le cose sembrano essere diventate un diritto inviolabile, per cui la richiesta di libertà ormai non vede più limiti in assoluto, anche la salvezza eterna è vista come un premio che spetta a chiunque senza fare assolutamente nulla per raggiungerla. Certo, Dio ci perdona, ci resta vicino sempre, anche quando siamo noi ad ignorarLo, perché così è più facile, ci porterà nel Suo regno in ogni caso perché siamo i Suoi figli, ma alle persone questa consapevolezza non basta. La vita va male, esistono le malattie, le guerre, la miseria, il dolore, ergo Dio non esiste. Facile! Non può la sofferenza essere compresa nel pacchetto della vita, che tra l’altro ci viene donata gratuitamente, giusto? L’uomo che pretende tutto e subito non può assolutamente perdere tempo a star male, già è condannato a morire, figurarsi se deve anche mettersi a scoprire il senso di ciò che gli accade, se un senso esiste.
Penso che tutte quelle persone a cui viene l’orticaria a sentir parlare di Dio siano veramente tristi nel buio in cui si condannano esse stesse a vivere e ciò mi riempie il cuore di amarezza, ma anche di una infinita preghiera: che anche loro siano capaci di aprire gli occhi, di fidarsi, di esplodere dentro per la gioia, la Pace, l’Amore che viene dal Padre che ci crea, che quella vita ce la dona senza chiederci in cambio niente più di quello che siamo, imparando ad accettarci così, Suo disegno messo all’opera solo e soltanto per la nostra felicità. Prego anche per chi il calore della fede lo conosce già, perchè non si lasci intimorire dal mondo che perde man mano i valori che l’hanno costruito, ma si faccia forza con quel tesoro che porta dentro e che non sempre siamo capaci (mi metto in mezzo) di sentire e a cui aggrapparci come unica luce per vivere e farlo in modo profondo, con un senso.

★ Riflessione di Vale ★

+ Dal Vangelo secondo Marco Mc 16,15-20

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

E’ finita.
Siamo alla fine del vangelo di Marco, una fine tra l’altro aggiunta in un secondo momento, quando l’evangelista (di cui oggi la Chiesa celebra anche la festa) ci voleva lasciare con le donne che tornano a casa dal sepolcro vuoto col cuore colmo di dubbi, stupore e angoscia. E non dicono niente a nessuno; e quando parlano, non vengono credute.
Per Marco la fede è frutto di un incontro personale con Cristo; i Dodici credono alla risurrezione del loro maestro soltanto quando Egli si manifesta davanti a loro, proprio in questo brano; e le sue prime parole non sono di certo morbide: “e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto” (Mc 16,14).
Proprio a questi uomini increduli e duri di cuore il Risorto affida una missione importantissima: “Andate!”.
Proprio a noi, che a volte vacilliamo nella fede come i Dodici, continua ad affidare lo stesso compito: “Andate!”.
“Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura”… che compito difficile che ci dai, Gesù. Tu vuoi che siamo annunciatori del tuo Vangelo ovunque e per tutti, in ogni ambito della nostra vita.
E in questo andare non ci lasci soli: “il Signore agiva insieme con loro”… quant’è bella questa frase! Quante volte ci sembra di dover scontarci col mondo per portare avanti il messaggio cristiano… eppure, anche nelle difficoltà quotidiane – a scuola, in famiglia, con gli amici – Lui è con noi, opera con noi!
Allora, è finita davvero?

 

Ora così dice il Signore che ti ha creato, o Giacobbe,
che ti ha plasmato, o Israele:
“Non temere, perché io ti ho riscattato,
ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni.
2Se dovrai attraversare le acque, sarò con te,

i fiumi non ti sommergeranno;

se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai,

la fiamma non ti potrà bruciare,

3  poiché io sono il Signore, tuo Dio,

il Santo d’Israele, il tuo salvatore.

4Perché tu sei prezioso ai miei occhi,

perché sei degno di stima e io ti amo,

do uomini al tuo posto

e nazioni in cambio della tua vita.

5 Non temere, perché io sono con te;

(Is 43,1-5)

 ★ Riflessione di Valentina Marchetto ★

+ Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 6,30-35

In quel tempo, la folla disse a Gesù: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

 Caro Gesù, fai che questa notte non faccia brutti sogni”: era la consueta richiesta che da piccola facevo prima di addormentarmi, sotto le coperte, con le mani giunte, “astutamente” seguita da una preghiera come ringraziamento anticipato. A desiderio realizzato ero solita compiacermi per essermi affidata a lui o in caso contrario giustificarlo, pensando tra me e me “Si vede che aveva troppe cose da fare ieri…” Chiaro che questo è comprensibile se si tratta di un bambino. Pian piano, crescendo, ho capito che non era quello il modo di pregare, di credere in un qualcuno di soprannaturale, potente, che compie miracoli ed esaudisce i desideri … un po’ come il Genio di Aladdin.
I giudei nel Vangelo di oggi richiedono un’opera straordinaria che dia loro una garanzia dell’autorevolezza di Gesù come rappresentante di Dio:“Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi?”. Un atteggiamento che totalmente si discosta da quello di fede. Ottenere dei favori in cambio di qualche promessa o preghiera, giusto per far quadrare la propria vita nelle cose che ci sembrano troppo difficili da gestire autonomamente. I giudei sottolineano come in passato i loro padri mangiarono la manna data loro da Mosè e di conseguenza rendono noto il bisogno di veder compiere da Gesù un segno più grande di quello compiuto da Mosè, per poter credere in lui. A questo Gesù risponde spiegando che la manna del deserto non era stata opera di Mosè, ma di Dio che, attraverso la richiesta di Mosè, mandò da mangiare al popolo affamato (“ non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo”). “Signore, dacci sempre questo pane” affermano i giudei, dimostrando di pensare ancora ad un pane materiale, tanto che Gesù infine esplicita come mediante la fede in lui l’uomo ottenga la pienezza dei beni salvifici, mettendo fine così ad ogni tipo di bisogno o attesa: chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete”. Gesù, con il suo messaggio, i segni compiuti, le scelte di vita, e soprattutto con la morte in croce, rappresenta il pane della vita, che si può ricevere mediante la fede. Il pane di Dio, il pane della vita è Gesù stesso!
Noi abbiamo fame di pane vero, sete di acqua viva. È la persona di Gesù che noi dobbiamo accogliere e assumere nella nostra vita, perché Egli è il pane che nutre lo spirito e sfama l’umanità. Gesù denuncia la fede dei giudei che non capiscono e non credono a lui, intendendo il pane del cielo come alimento terreno. E noi? Siamo come loro?

★ Riflessione di  Nicole ★

+ Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 6,22-29

Il giorno dopo, la folla, rimasta dall’altra parte del mare, vide che c’era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli. Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie. Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

Alla ricerca di Gesù

La vita è un viaggio e la cosa più bella è quando comprendiamo che in questa avventura non siamo soli!
Nel Vangelo di oggi la folla cerca Gesù andando alla volta di Cafarnao; era la stessa folla affamata che aveva mangiato il pane spezzato e moltiplicato dal Signore.  Gesù è quel pane che è stato spezzato e dato per donarci l’eternità. La bellezza della nostra vita attuale è che possiamo già sperimentare una gioia piena se cerchiamo il Signore nella nostra quotidianità. Il profeta Isaia dice: “Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo mentre è vicino.” Come allora a Cafarnao con la folla, anche oggi il Signore si fa trovare nei poveri che incontriamo, nella persona amata, nei nostri amici, genitori, fratelli e sacerdoti.
Se preghiamo Lui ci ascolta, affidiamogli il nostro desiderio del cuore e non resteremo delusi.

★ Riflessione di Chiara Antonioli ★

Dal Vangelo secondo Luca 24,35-48
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In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

Nel presentare le apparizioni del Risorto, Luca ne sottolinea  l’elemento della concretezza fisica: l’avvicinarsi di Gesù ai due discepoli di Emmaus, il camminare accanto a loro, il discutere, il mangiare con loro; la “fisicità” con cui egli si presenta agli Undici, a prova della sua identità, è riconferma della sua condivisione con la storia e la condizione umana, condizione che è prima di tutto corporeità; sul corpo sono i segni del passare del tempo; sul corpo sono i segni della gioia ma anche del dolore e della sofferenza. Gesù mostra le mani e i piedi con i segni indelebili della crocifissione, segno di una storia che lo ha riguardato nel suo passaggio terreno; segno di una corporeità che, tutt’altro che annullata, viene invece mantenuta e salvata ora e per sempre dalla morte. Nel suo tornare a visitare gli uomini nella storia, ancora una volta, Cristo offre la sua parola e intesse un dialogo che li porta nel luogo più profondo del proprio essere, del proprio cuore, dove si annidano quei loghismoi, quei cattivi pensieri che fanno da barriera alla fede, creano scoramento, dubbio, incredulità, sentimenti che neanche la percezione dei propri sensi può abbattere. Egli chiede così agli Undici di ritornare con la mente a ciò che diceva quando era ancora con loro; ma ricordare non basta; il ricordo va interpretato, riletto, restituito alla sua intrinseca verità, “allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture”. Egli dona la capacità di saper rileggere gli eventi alla luce del progetto salvifico di Dio, alla luce, cioè, di tutta la storia della salvezza che riconduce a Cristo, morto e risorto e nel cui nome saranno predicati la conversione e il perdono dei peccati a tutta l’umanità. Questa è la buona novella. Di questa i discepoli saranno testimoni, ma solo dopo che essi saranno rivestiti di potenza dall’alto, dallo Spirito Santo di Dio.
La prima comunità cristiana riunita attorno a Gesù è chiamata a testimoniare questo e non altro: la misericordia di Dio che, nella pace del Risorto, porta la conversione e il perdono a “tutte le genti”. E questa è la vocazione della Chiesa: far risplendere nel mondo il volto misericordioso di Dio, portare la pace di Cristo ad una umanità mai rinnegata, ma assunta con tutte le sue ferite e risorta dalla gioia del perdono.

@Padre P@

+ Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 6,16-21

Venuta la sera, i discepoli di Gesù scesero al mare, salirono in barca e si avviarono verso l’altra riva del mare in direzione di Cafàrnao. Era ormai buio e Gesù non li aveva ancora raggiunti; il mare era agitato, perché soffiava un forte vento. Dopo aver remato per circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Sono io, non abbiate paura!». Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti.

I discepoli sono in difficoltà: è notte, il mare è in burrasca e la loro barca è in balia delle onde, inoltre, come se non bastasse, Gesù non è con loro. L’isolamento e la paura tuttavia durano poco, “dopo aver remato per tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca”, per raggiungere i suoi discepoli Gesù compie un miracolo: cammina sulle acque e non appena è salito sulla barca questa raggiunge un posto sicuro dove attraccare. Non dobbiamo temere nulla quando il Signore ci è vicino, Egli ci condurrà sicuramente “in porto”, lasciamoci cullare dalla consapevolezza della sua continua presenza e non dubitiamone mai.

★ Riflessione di Jacopo ★

+ Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 6,1-15

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

Quello che mi colpisce è un Gesù, ancora una volta, attento ai bisogni dell’uomo. Si preoccupa che le tante persone che lo hanno seguito per ascoltare le sue parole ed essere guariti, abbiano di che mangiare. Per questo interviene nuovamente con un miracolo, ma per farlo si serve di un ragazzo al quale chiede di donargli i cinque pani e i due pesci che aveva e questo ragazzo glieli da, senza pensarci su due volte, fidandosi di Gesù. Questo ci insegna che Dio per operare nel mondo ha bisogno anche di noi, ha bisogno che gli apriamo il nostro cuore e gli doniamo la nostra vita diventando suoi operai per migliorare la vita delle persone affamate di cibo, di amore, di accoglienza ed essere attente ai loro bisogni. Con questo miracolo, però,  Gesù non dona agli uomini solo il cibo per saziare il corpo, ma ci mostra se stesso come cibo per la nostra anima, “il pane della vita”, introducendo i gesti dell’ultima cena che sarebbe successa nei giorni seguenti durante la quale viene istituita l’Eucarestia, il momento centrale della Santa Messa dove possiamo riceverlo nella forma del pane e del vino. Ti prego Signore perchè possiamo riscoprire nell’Eucarestia che tu sei il vero pane che può saziare la nostra anima e aprire i nostri cuori per essere meno indifferenti ai bisogni dei nostri fratelli e contribuire con te ad alleviare la fame di pace, di giustizia, di amore che c’è nel mondo, anche con piccoli e semplici gesti nel nostro quotidiano.

★ Riflessione di Cosy ★

 

“Il maestro non ci chiede quello che non abbiamo, ma ci fa vedere che se ciascuno offre quello che ha, può compiere il miracolo della condivisione, che basta a salvare tutti. E’ la sfida inevitabile con cui si misurano i missionari. Sapere di essere così insignificanti da dubitare che i propri cinque pani e due pesci, abbiano un senso, facciano la differenza nell’oceano infinito dei bisogni umani”

 Sr.Maria Teresa Ronchi